Nella notte tra il 14 e il 15 luglio si è svolto un consiglio dei ministri durato 6 ore per affrontare il dossier Autostrade. A quasi due anni dal crollo dell'ex Ponte Morandi di Genova, casus belli dell'annosa questione riguardante la revoca della concessione, la controversia è giunta ad un punto di svolta. Aspi, società concessionaria di 3000 km di autostrade italiane, a sua volta controllata oggi dalla holding Atlantia della famiglia Benetton, diventerà una società a partenariato pubblico-privato. Il dossier su Autostrade per l'Italia mette alla prova il premier Conte già da due anni. Il Movimento 5 Stelle fin da quel maledetto 14 agosto 2018 si è dichiarato favorevole alla revoca della concessione. Ma l'alleanza prima con la Lega e poi con il Partito Democratico ha frenato una decisione risoluta: i due partiti hanno manifestato la loro contrarietà ad una revoca radicale.
Secondo molti osservatori, una Atlantia con le spalle al muro avrebbe presentato una offerta irrinunciabile al governo. Ma questa non è arrivata. Così l'esecutivo ha proposto una serie di conditiones sine qua non si sarebbe revocata la concessione. Ma qual è il motivo allora del temporeggiamento? Il Pd, con il suo ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Paola De Micheli ha fatto notare come potrebbe costare caro all'erario dello Stato un divorzio totale con Aspi. Infatti, l'Avvocatura dello Stato ha dichiarato possibile una vittoria di Aspi in una incipiente battaglia legale con lo Stato: potrebbe verificarsi un risarcimento di ben 23 miliardi di euro a favore di Aspi a causa della revoca. Non dunque i 7 miliardi previsti dall'articolo 35 del decreto Milleproroghe. Il Pd aveva fatto sapere che «se diciamo si alla revoca allora da domani sblocchiamo la vicenda Ilva, quella del Mes e quella della rete unica».
Ecco che allora è arrivata l'intesa. La mediazione tra le parti ha proposto l'accettazione da parte dei Benetton delle condizioni imposte dal governo per evitare la revoca. L'obiettivo è conciliare la punizione ai Benetton senza gravare troppo sulle casse pubbliche. Allora la revoca della concessione non sembra più uno scenario possibile: si prospetta, in una prima fase, un aumento di capitale dell'azienda del valore di 3,9 miliardi con l'ingresso di Cdp (Cassa Depositi e Prestiti) al 33% di azioni. Saranno così diluite le azioni di Atlantia (dall'88% al 37%) e dei soci esteri (dal 12% all'8%). Il valore d'ingresso dello Stato con Cdp sarà deciso da perizie di banche d'affari che valutano ad oggi l'asset 11 miliardi. Atlantia cederebbe anche il 22% a investitori qualificati indicati da Cdp: ecco perché Cdp potrebbe controllare fino al 60% del capitale.
La nuova public company affronterà poi un secondo passaggio. Atlantia sarà definitivamente scorporata da Aspi: le sue azioni saranno distribuite ai soci, tranne che per un 11,3% che rimarrà controllato dalla società finanziaria dei Benetton, la Sintonia/Edizione. I Benetton quindi non sono completamente estromessi dal controllo di Aspi. La percentuale permette loro di portare in consiglio d'amministrazione un membro. La nuova società sarà poi quotata in Borsa per il 50% come nuovo soggetto di diritto (spin-off). Il primo passaggio dovrebbe chiudersi a settembre. Il secondo entro i primi mesi del 2021. In questo modo i Benetton non avranno potere di veto e blocco per decisioni importanti di Aspi.
L'ipotesi del commissariamento per decreto (si ventila l'ipotesi dell'ex ad di Terna Luigi Ferraris) sembra poco praticabile perché presterebbe il fianco a ricorsi che, impugnati, bloccherebbero operatività e investimenti. In ogni caso a settembre la governance dell'azienda potrebbe cambiare con Ferraris come super-commissario. Quanto al futuro di Atlantia, questo è in continua evoluzione. La holding lo scorso anno ha guadagnato il 13% dei propri utili da Autostrade. Questo inevitabilmente non accadrà più. Con le risorse incassate dall'uscita dalla rete italiana però, Atlantia potrebbe darsi ad un business redditizio: quello delle torri. Gli investitori, infatti, fanno schizzare il titolo dell'azienda in Borsa.
Come si nota, il dossier è intricato e complesso. Certamente il cambiamento, non da poco, va in generale nella giusta direzione. Ma forse sarebbe opportuno evitare i toni trionfalistici della maggioranza: in primis considerata la tragedia da cui tutto origina e in secundis perché ancora molti sono i dettagli da definire e le zone d'ombra della trattativa. Inoltre, ancora una volta ha vinto il compromesso. Il M5s, che ha sbandierato la revoca per due anni alla fine non l'ha portata a casa. Lo Stato ha ottenuto quello che voleva, ma anche i Benetton hanno imboccato la via meno dolorosa. Adesso la speranza dei cittadini consiste in pedaggi più bassi, manutenzioni tempestive e puntuali (ordinarie e non solo straordinarie) e investimenti ingenti per migliorare le autostrade italiane, le vene di un organismo che è l'Italia.
Stefano Guarrera