13/04/2021
Quando nella serata dell’8 aprile nella trasmissione televisiva Stasera Italia su Rete 4 abbiamo sentito dire a Pietro Salini, amministratore delegato del gruppo di costruzioni Webuild, che «è più facile lavorare all’estero», non ci siamo stupiti. A parere di Salini, infatti, per realizzare un’opera sono necessari alcuni fattori come la «volontà [politica ndr] di realizzarla», poi la «certezza del diritto», infine «l’assunzione di responsabilità da parte della pubblica amministrazione», che a detta dell’ad, non necessariamente prende decisioni giuste, ma almeno le prende. Questi 3 punti, infatti, sono 3 talloni d’Achille per il nostro Paese. Ecco la diversità di giudizio Italia – estero.
Per quanto concerne la volontà politica di realizzare opere pubbliche, emblematico è il caso del collegamento stabile sullo Stretto di Messina, che avverrebbe mediante un ponte ad unica campata, col quale si è aperto il dialogo tra Salini e la conduttrice del talk serale, la giornalista Barbara Palombelli. Infatti, dopo studi durati 30 anni e costati 100 miliardi di lire, e confluiti nella redazione di un progetto definitivo, fu bandita una gara d’appalto internazionale nel 2005 che fu aggiudicata a una cordata guidata da Impregilo (“Eurolink”), rilevata dal gruppo Salini (2014), che nel frattempo ha cambiato nome nel 2020 diventando Webuild. Tema classico di scontro politico, “il Ponte” ha infiammato il dibattito pubblico per decenni. E con la crisi del governo Berlusconi, lo scioglimento della società commissionaria “Stretto di Messina” e relativa liquidazione sotto il governo Monti, del Ponte non se ne seppe più nulla.
«Siamo in grado di realizzare il Ponte e partire anche subito» ha dichiarato l’imprenditore. La società ha infatti nei suoi canali social comunicato che in pochi mesi l’infrastruttura sarebbe cantierabile. Aggiunge che «il ponte costa 2,9 miliardi mentre le opere accessorie ammontano a 7 miliardi e 100 milioni». Tra queste figurano gli interventi di messa in sicurezza contro il dissesto idrogeologico delle montagne, i raccordi autostradali e ferroviari di accesso e persino interventi sulle città metropolitane di Messina e Reggio Calabria che insistono sull’area. Salini avanza anche una proposta sul Recovery Fund in merito, mostrando la volontà di non perdere la grande occasione dei fondi europei: «col Recovery Fund si potrebbero finanziare e realizzare tutte le opere accessorie entro il 2026» in modo da aggiungere il Ponte come ultimo tassello per rendere coerente una Alta Velocità che da Roma raggiungerebbe Palermo e Catania in 6 e 5 ore abbattendo le emissioni inquinanti dei trasporti aerei (e dei traghetti sullo stretto), anche perché nei prossimi anni saranno potenziate in maniera significativa le linee ferroviarie Salerno – Reggio Calabria e Messina – Catania – Palermo. Le stime indicano che si creerebbero 100.000 posti di lavoro, 30.000 solo in quest’anno.
Il tema della (in)certezza del diritto e dell’assunzione di responsabilità dell’amministrazione si incrocia invece con la vicenda dolceamara del Ponte di Genova. Dopo la tragedia del crollo del Ponte Morandi il segreto che ha portato ad un successo così grande la realizzazione del nuovo Ponte San Giorgio ad opera di Webuild è stato per Salini «remare tutti nella stessa direzione realizzando l’opera in meno di 9 mesi, 15 in totale» compresa la fase pre-cantiere. «L’amministrazione ha usato norme europee intervenendo ogni volta con decisioni da prendere tutti i giorni». Salini non ha insomma mostrato approvazione nei confronti dell’attuale Codice dei Contratti pubblici. Il “modello Genova“ anche grazie alla presenza di un commissario responsabile della realizzazione dell’opera, ha infatti aggirato la normativa vigente, in occasione di una situazione certamente fuori dall’ordinario.
Il gruppo Webuild, operante in 60 paesi, con 70.000 dipendenti di oltre 100 nazionalità, ha lavorato in sinergia con 1000 imprese per il solo Ponte di Genova, mentre lavora con 7000 società nelle 18 opere in corso di realizzazione sul nostro territorio nazionale. Ad oggi il 20% del fatturato dell’azienda deriva dall’Italia e da opere che il gruppo sta realizzando come il Terzo Valico di Genova e la Metropolitana M4 di Milano. Tutto il resto è prodotto da progetti in giro per il mondo, come dighe, impianti energetici, infrastrutture di trasporto, scuole, ospedali che «migliorando la qualità della vita delle persone». Come la nuova costruenda linea di Alta Velocità Houston – Dallas in Texas, perché «negli Stati Uniti c’è un gran bisogno di treni ad Alta Velocità».
Dopo l’inaugurazione di un’infrastruttura, che a detta di Salini è a questo punto «come una creatura che si allontana, come un figlio che prende la sua strada», si apre il fondamentale capitolo “manutenzione”. Infatti, l’ad di Webuild ricorda che «le opere non sono eterne ma hanno un ciclo di vita e se non si fa manutenzione la vita si accorcia» aggiungendo poi che «le infrastrutture italiane hanno [in media ndr] più di 50 anni». Si stima che il valore del portafoglio del capitolo manutenzione in Italia arrivi a 40 miliardi di euro di lavori. Si consideri che questi interventi prima o poi sono da fare, quindi sono destinati a crescere nel tempo. Migliaia di posti di lavori sarebbero disponibili con un così ampio piano di risanamento delle infrastrutture esistenti in Italia. Manutenzioni che devono essere programmate dall’ente pubblico e anche dal gestore. Perché non conta solo chi è proprietario delle opere, ma chi le gestisce.
Insomma, per qualcuno le infrastrutture sono un tema di sinistra o di destra o del “partito del cemento”. Forse sono solo un indicatore dello sviluppo di una nazione moderna. E anche le grandi opere non sono per forza in contrasto con l’ambiente se, considerando il loro tasso tecnologico e gli studi sul paesaggio, sugli ecosistemi e sulla geologia redatti in fase progettuale, rispondono ad una domanda di utenti reale.
Stefano Guarrera