14/02/2021
Ci eravamo lasciati con un interrogativo: chi l’ha spuntata tra Conte e Renzi? Se Conte con la doppia fiducia ottenuta in Camera e Senato (qui solo maggioranza relativa) sembrava essersi portato sull’1-0, per continuare con la metafora calcistica, è stato Renzi che, piaccia o no, ha ribaltato il risultato con un 2-1 a suo favore. E poco importa se piazza una sola ministra. È lui stesso che afferma di sentirsi «più tranquillo con Mario Draghi».
Già, Mario Draghi. Chi è il neopresidente del consiglio? Qual è il profilo dell’uomo che per la stampa internazionale è «l’uomo migliore per il compito peggiore»? Perché la stragrande maggioranza delle forze politiche lo sostiene insieme con la gran parte delle cancellerie internazionali? Riuscirà a salvare l’Italia dal baratro economico, occupazionale e sociale?
Sono tante le domande che ci poniamo. E non è per niente facile analizzare un governo “tecnico”, “tecnico-politico”, “istituzionale”, “del presidente”, “di unità nazionale”, come il gergo politico lo descrive. Se non altro perché è quantomeno peculiare vedere ministri della Lega seduti a fianco di ministri del Partito Democratico in Consiglio dei Ministri da “alleati”. È strano che ora debbano collaborare Movimento 5 Stelle e Forza Italia. Cosa può spingere le più diverse forze politiche a mettersi insieme? Un semplice appello del Presidente della Repubblica Mattarella a mettere da parte le inimicizie per salvare il Paese o c’è dell’altro?
Mario Draghi annuncia la squadra dei ministri.
Dobbiamo partire dalla “mossa del cavallo” di Matteo Renzi, come la chiamerebbe lui. Il senatore toscano era ben consapevole di essere determinante per la precedente maggioranza. Un suo divorzio avrebbe certamente fatto vacillare il governo giallo-rosso. Ma c’è di più: Renzi sapeva che l’alternativa sarebbe stata una figura di primissimo livello come Mario Draghi. Se aggiungiamo il fattore Recovery Plan (non gradito così come stava prendendo forma), il cocktail che avrebbe portato alla crisi era già pronto. E si arriva così a ieri, ai saluti di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi: un lungo applauso dei dipendenti del palazzo verso l’ex presidente dimostra che quello di Conte non è stato un fallimento. Tra 20 o 30 anni probabilmente lo ricorderemo come l’uomo che ci guidò in uno dei momenti più cupi della storia della nazione e che riuscì a strappare il maxi-contributo europeo di 209 miliardi. Per ora esce di scena e per mano di Matteo Renzi. Ma attenzione: lui afferma di tornare a essere «un semplice cittadino» ma in molti vociferano di un suo possibile ritorno in politica. È probabile che la parabola politica di Conte non sia finita qui.
Il presidente della Repubblica, stanti così le cose, si trovava di fronte ad un bivio: la decisione di portare il Paese al voto o di affidare l’incarico ad un candidato presidente per la formazione di un nuovo governo. Il voto è stato giudicato da Mattarella inopportuno in tempi di pandemia. Dunque, l’appello del presidente alle forze politiche per un sostegno ad un nuovo governo. Un nome era obiettivamente perfetto per l’incarico di primo ministro: Mario Draghi. Egli è stato direttore generale del Tesoro, governatore della Banca d’Italia e presidente della Banca Centrale Europea (BCE). Una risorsa per l’Italia, stimato in tutto il mondo e attualmente senza incarichi. Momento cruciale della sua carriera quando la crisi finanziaria stava minando le fondamenta di Euro e Unione Europea. La sua scelta fu ferrea, e da vertice della BCE pronunciò la famosa frase: «faremo tutto il necessario (whatever it takes) per salvare l’Euro, e credetemi, basterà».
Giuseppe Conte lascia Palazzo Chigi dopo 960 giorni.
Il presidente, dunque, c’era: adesso bisognava trovare i ministri. E qui i problemi aumentavano. L’unico modo per trovare la fiducia in Parlamento era coinvolgere i partiti e così è stato. Nel nuovo governo sono 4 i ministri per il M5S, 3 per Pd, Lega e FI. 1 a LeU e 1 a IV. Queste sono le forze che hanno raccolto l’appello del presidente Mattarella. Il M5S ha lasciato la parola alla sua piattaforma Rousseau: gli iscritti hanno scelto il coinvolgimento dei pentastellati nel nuovo governo, causando tra l'altro scissioni interne al movimento. Sarebbe interessante sapere come voterebbero consapevoli ora dei nomi della squadra di governo. Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni invece rimane sostanzialmente l’unico grande partito all’opposizione: si capisce che se il governo Draghi dovesse fallire nei suoi obiettivi o anche solo terminare la sua esperienza prima del previsto (cosa possibile per le difficoltà e i motivi che vedremo), FdI ne trarrebbe vantaggio. Meloni ha affermato: «solo nei regimi autoritari non c’è opposizione». Ma il punto è che FdI ha compiuto una scelta: rifiutare l’appello del capo dello Stato per ribadire la sua incompatibilità con M5s e Pd.
Dall’altra parte, il nuovo governo è molto politico: i ministri appartenenti a partiti sono il doppio dei tecnici, anche se i tecnici si occuperanno di ruoli chiave: il ministero dell’Economia (Daniele Franco), il ministero per la transizione ecologica (Roberto Cingolani), il ministero per l’innovazione (Vittorio Colao), il ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Enrico Giovannini). Ai tecnici anche la giustizia, l’istruzione, l’università, confermata Lamorgese agli interni. I 4 nomi appena citati sono certamente figure di «alto profilo». Inutile dilungarsi nel delineare un loro identikit. Ci limitiamo a sottolineare la curiosità che proviamo nel capire come si svilupperà il rapporto tra Franco (ex ragioniere dello stato, da 40 anni in Banca d’Italia) e Draghi: quest’ultimo, come tutti sanno, non è proprio uno sprovveduto in campo economico. Oscurerà Franco? Cingolani invece, esperto in innovazione (ha fondato l’Istituto Italiano di Tecnologia), si occuperà di uno dei punti cardine dell’agenda del nuovo esecutivo: spingere verso la nuova rotta delle energie rinnovabili.
La consueta foto di rito del governo Draghi insieme al Capo dello Stato Mattarella al Quirinale.
La presenza di Vittorio Colao non stupisce: già quando fu chiamato da Conte per programmare la cosiddetta “Fase 2” era considerato un manager di altissimo livello. Adesso, probabilmente non sarà messo da parte così facilmente dal corso degli eventi. All’ex presidente dell’Istat ed esperto in sostenibilità ambientale Giovannini il difficile ed importante compito di far ripartire le infrastrutture e i trasporti del Paese. L’Italia mostra un gap profondo rispetto a Spagna, Regno Unito, Francia e Germania sulle infrastrutture. La nazione ha bisogno di essere connessa nei suoi territori e questo deve avvenire in sicurezza e con standard di velocità adeguati all’epoca di oggi. La storia dimostra che le ripartenze economiche dopo le crisi passano dai cantieri infrastrutturali. Marta Cartabia (prima donna presidente della Corte Costituzionale) alla giustizia pare essere, secondo l’opinione pubblica, una certezza.
I problemi maggiori arrivano però dai ministeri politici: molti esponenti non sembrano essere nelle caselle su cui sono più preparati: qualche esempio su tutti, Patuanelli all’Agricoltura o Orlando al Lavoro. Uno dei motivi di ciò è la necessità di accontentare più o meno tutti: le combinazioni spesso non permettono incastri perfetti. Fa discutere il ritorno di Brunetta (Pubblica Amministrazione) e ad alcuni fa storcere il naso la conferma di Speranza alla Salute, ministero chiave, soprattutto da un anno a questa parte. La Lega porta a casa tre buone caselle: Sviluppo Economico, Turismo e Disabilità. Tre dicasteri importanti e significativi in cui potrà provare a incidere.
Le difficoltà che si appresta ad affrontare questo esecutivo sono enormi: bisogna portare avanti il più grande piano vaccinale della storia e il più grande piano di aiuti economici della storia. L’Italia è ferita dalla pandemia e molte imprese, famiglie, esercenti sono in grande difficoltà. Draghi è una sicurezza (lo Spread è basso, Piazza Affari è in attivo, le cancellerie europee sono entusiaste alla prospettiva di lavorare con Draghi) ma il governo è eterogeneo: i dissidi tra partiti sono dietro l’angolo.
Il tweet di auguri della presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen a Mario Draghi.
Infine, una nota è d’obbligo: ancora una volta la politica italiana ha dimostrato instabilità e almeno parziale incapacità. L’instabilità (politica, giudiziaria, economica, regolatoria, burocratica) è uno dei grandi motivi che allontanano gli investitori dal nostro Paese. Una riflessione s’ha da fare. Ciò ha portato al sessantesimo governo della Repubblica. L’in bocca al lupo viene da tutti i cittadini. Quello che stiamo vivendo è un momento fondamentale della storia della società civile. La speranza è che più cittadini possibili abbiano la sensibilità di realizzare ciò, in modo da agire di conseguenza per cambiare in meglio il nostro meraviglioso Paese.
Stefano Guarrera